martedì 28 giugno 2016

"Profondo rosso" di Dario Argento


Aveva quasi trentacinque anni quando il maestro del brivido firmò il film che, di lì a poco, lo avrebbe consacrato nell’universo cinematografico mondiale. Il successo, sia di pubblico sia di critica, fu incredibile. Argento fu soprannominato l’Hitchcock italiano entrando, di diritto e in pochissimo tempo, nella stratosfera del Cinema mondiale.
Ladies and Gentlemen, per la regia di Dario Argento, “Profondo Rosso”.


Parlare di “Profondo Rosso” significa discutere di molte cose.
Significa, innanzitutto, parlare del giallo all’italiana per antonomasia. Significa parlare del film più famoso di Dario Argento. Significa parlare del monumento mondiale per eccellenza del genere thriller/horror. Significa, soprattutto, parlare dell’opera che ha segnato, all’interno del percorso artistico del maestro del brivido, il passaggio fondamentale tra la fase thriller, alla quale appartiene la trilogia degli animali (“L’uccello dalle piume di cristallo”, “Il gatto a nove code”, “4 mosche di velluto grigio”), e quella puramente horror cominciata con quel Capolavoro artistico che prende il nome di “Suspiria”.

È, stilisticamente, un film “di passaggio”, ed essendo tale riesce ad essere meravigliosamente unico e perfettamente dualista in ogni sua singola sfaccettatura. Il maestro del brivido dirige un film con due anime ben distinte che s’incastrano, si alternano e si fondono in maniera magistrale, proprio come lo yin e lo yang: c’è l’horror e c’è il thriller; c’è il rock progressive (i Goblin) e c’è il jazz (Giorgio Gaslini); c’è il protagonista Marc e c’è il suo miglior amico Carlo, con la loro visione dell’arte diametralmente opposta; c’è eleganza e raffinatezza, ma c’è anche il marcio e lo sporco; c’è il fantastico (la medium, i fantasmi della villa) e c’è l’orrore tangibile, fisico e terreno legato ad un contesto realistico.


Con “Profondo rosso”, Argento è alla piena maturità registica ed è perfettamente conscio del proprio smisurato talento. Usa la macchina da presa in maniera indiscutibilmente perfetta, alternando delle artistiche inquadrature fisse a movimenti di macchina incredibilmente eleganti con un montaggio a dir poco meraviglioso.
Le scene degli omicidi sono incredibili, uniche e particolari. Non seguono e non vogliono seguire una logica realistica vivendo in una dimensione propria, tanto macabra quanto splendida. Lo svolgimento è irreale con questa lunghissima preparazione a quello che sarà l’omicidio vero e proprio, grazie ad un montaggio, man mano sempre più serrato, e a un accompagnamento musicale che aumentano la tensione in maniera lenta ma inesorabilmente costante fino ad arrivare al climax, all’omicidio, al festival della ferocia: splatter, sangue, gore e cattiveria allo stato puro.
Argento, riprendendo lo stile dilatato dei duelli western leoniani, aggiunge arte all’omicidio e Refn prende minuziosi appunti che userà diligentemente nelle sue future opere.

La messa in scena in ogni singolo dettaglio è PERFETTA.
È talmente perfetta che riesce a distogliere l’attenzione dello spettatore sia da cose che non tornano per pura scelta registica (il bagno lercio nel magnifico teatro dove la medium tiene il congresso di parapsicologia), sia dalla “soluzione del caso” che il regista mette di fronte agli occhi di tutti. Come ne “L’uccello dalle piume di cristallo” Argento mette la soluzione in una manciata di frame rendendola un qualcosa di puramente visivo, in netta contrapposizione ai classici gialli alla Agatha Christie.
La storia e la risoluzione del mistero gira proprio intorno a questi pochissimi frame.
Marc sa di aver visto qualcosa d’importante eppure non riesce a ricordarlo. Argento la mette quasi sul piano meta-cinematografico: Marc non è altro che lo spettatore che per mezzo secondo “ha visto qualcosa di talmente importante da non rendersene conto” e che per tutto l’intero film cerca in tutti i modi di ricordare, tanto da diventare una vera e propria sfida… vitale.

Marc (David Hemmings), il protagonista, è un londinese, pianista jazz, che vive in Italia da diversi anni insegnando al conservatorio. Lui, che considera il genere maschile quello forte e predominante, è una persona impaurita e principalmente introversa, a differenza della controparte femminile Gianna (Daria Nicolodi), una giornalista determinata, estroversa e piena di spirito che va in giro con una simpatica 500 scassata.
Sono loro due i veri detective giacché Argento aggiunge quella sua flebile ed immancabile ironia scrivendo un commissario-macchietta, con al seguito un corpo di polizia che assomiglia ad una banda di smandrappati, cui non interessa minimamente cercare delle prove per chiudere definitivamente il caso.


Tutto questo grandissimo comparto registico, di messa in scena e di semplice ma ben fatta scrittura dei personaggi è ulteriormente elevato dai superbi effetti speciali, cui mise mano il grandissimo Carlo Rambaldi, e dalla famosissima colonna sonora firmata dai Goblin e da Giorgio Gaslini.
E proprio riguardo al sonoro, Argento fa qualcosa di sensazionale.
Il maestro del brivido inventa un sottogenere che diventerà il suo marchio di fabbrica: il thriller assordante.
Le sonorità progressive dei Goblin, che picchiano costantemente sui timpani, unite al montaggio sempre più volutamente frenetico entrano in perfetta sintonia, generando un microgenere del thrilling davvero interessante ed incredibilmente accattivante, che verrà completamente sviluppato e portato al suo picco massimo nella sua opera successiva, “Suspiria”.


Dario Argento prende i suoi primi tre thriller, li eleva al massimo, li unisce, aggiunge un pizzico di gore e crea, oltre che un Capolavoro del genere e un monumento del cinema mondiale, un geniale trait d’union tra il classico thriller argentiano e l’horror più folle e schizzato.

1 commento:

  1. Ottima analisi, bravo. Senza dubbio Profondo rosso è uno dei GIALLI (e sottolineo gialli) più truculenti del regista Dario Argento, assieme a Tenebre. Ha secondo me alcuni difetti di sceneggiatura, più o meno marcati, ma è senza dubbio il suo capolavoro, il suo "marchio di fabbrica". Come hai detto giustamente tu a partire da questo film (anno 1975) il regista romano decide di aggiungere una componente fortemente horror ai film seguenti (e ne abbiamo subito riprova 7 anni dopo con tenebre e 11 anni dopo con Phenomena), anche se devo dire che tra i precedenti, Quattro mosche di velluto grigio (1971) è decisamente terrificante, un po' meno Il gatto a 9 code (1971), mentre L'uccello dalle piume di cristallo, il primo (1970) è sicuramente il meno sanguinolento. E' un film su cui davvero c'è tanto da discutere, solo una cosa è certa, va visto, rivisto e rivisto....è intramontabile, un film che ha fatto scuola negli anni a seguire (pensiamo solo per un momento a Lamberto Bava, spesso aiuto regista di Dario, che ha tirato fuori 2 film straordinari ispirati allo stile argentiano, oppure a Franco Ferrini, grandissimo scneeggiatore, quanti spunti ha preso sempre da Profondo rosso anche nel suo unico film da regista Caramelle da uno sconosciuto, del 1987).

    RispondiElimina